martedì 27 agosto 2013

Julio Cortazar










Julio Cortázar, all'anagrafe Julio Florencio Cortázar Descotte (Bruxelles, 26 agosto 1914 – Parigi, 12 febbraio 1984), è stato uno scrittore, poeta, critico letterario, saggista e drammaturgo argentino naturalizzato francese, particolarmente attivo nei generi del fantastico, della metafisica, del mistero. Stimato da Borges, è stato spesso paragonato a Čechov e Edgar Allan Poe. I suoi racconti non seguono sempre una linearità temporale ed i personaggi esprimono una psicologia profonda.
Nato a Bruxelles da genitori argentini, passerà la vita tra Francia e Argentina. Il suo capolavoro è Rayuela (Il gioco del mondo), iperromanzo (o antiromanzo) in cui l'esperienza parigina e argentina si giustappongono e completano a vicenda. Il libro è composto da oltre 300 paragrafi che possono essere letti nell'ordine specificato dall'autore all'inizio del romanzo o in ordine di comparizione.
Questa scelta soggettiva del lettore segna il punto di maggior originalità del romanzo che è inoltre caratterizzato da momenti di vita quotidiana intrecciati ad un'analisi filosofica della vita.










Il Futuro
 
E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il "tutto completo" delle sotterranee,
nei libri prestati e nell'arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
nè ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all'angolo della strada mi fermerò,
a quell'angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
nè qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
nè la fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.






- Dopo le feste 
 
E quando tutti se ne andavano
e restavamo in due
tra bicchieri vuoti e portacenere sporchi,
com'era bello sapere che eri lì
come una corrente che ristagna,
sola con me sull'orlo della notte,
e che duravi, eri più che il tempo,
eri quella che non se ne andava
perché uno stesso cuscino
e uno stesso tepore
ci avrebbero chiamati di nuovo
a svegliare il nuovo giorno,

insieme, ridendo, spettinati.










Tocco la tua bocca
 
Tocco la tua bocca,
con un dito tocco l’orlo della tua bocca,
la sto disegnando come se uscisse dalle mie mani,
come se per la prima volta la tua bocca si schiudesse,
e mi basta chiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare,
ogni volta faccio nascere la bocca che desidero.

Quella bocca che la mia mano sceglie e ti disegna in volto,
una bocca scelta fra tutte,
con sovrana libertà scelta da me
per disegnarla con la mia mano sul tuo volto,
e che -per un caso che non cerco di capire-
coincide esattamente con la tua bocca che sorride
sotto quella che la mia mano ti disegna.

Mi guardi, mi guardi da vicino,
ogni volta più vicino e allora giochiamo al ciclope,
ci guardiamo ogni volta più da vicino e gli occhi ingrandiscono,
si avvicinano fra loro, si sovrappongono.

E i ciclopi si guardano, respirando confusi,
le bocche si incontrano e lottano tepidamente,
mordendosi con le labbra,
appoggiando appena la lingua sui denti,
giocando entro i loro recinti
dove un’aria pesante va e viene
con un profumo vecchio e un silenzio.

Allora le mie mani cercano di affondare nei tuoi capelli,
carezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli
mentre ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci,
di movimenti vivi, di fragranza oscura.

E se ci mordiamo il dolore è dolce,
se ci soffochiamo in un breve e terribile assorbire
simultaneo del respiro, questa istantanea morte è bella.
E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura,
E ti sento tremare stretta a me come una luna nell’acqua.





Bolero

Che vanità immaginare
che possa darti tutto, l’amore e la fortuna,
itinerari, musica, giocattoli.
Di sicuro è così:

ti do tutto me stesso, sicuro,
però tutto me stesso non ti basta
come a me non basta che tu mi dia
tutta te stessa.
Per questo non saremo mai
la coppia perfetta, la cartolina,
se non siamo capaci di accettare
che solo in aritmetica
il due nasce dall’uno più uno.

Di là un foglietto
che recita solamente:

sempre sei stata il mio specchio,
voglio dire che per vedermi dovevo guardarti.





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